Gli 8 metri Stazza Internazionale

Le imbarcazioni metriche, e in particolare i mitici "8", assurgono indiscutibilmente, nella storia della Vela, al ruolo di gloriose prime donne. Contrariamente a quanto molti possano pensare, queste barche non sono lunghe 8 metri e non sono monotipi; le loro progettazioni obbediscono, infatti, a precise formule algebriche la cui risultante è il numero "8".

Nel luglio del 1906, a Londra, la Yacht Racing Association (YRA) fissò l'International Rule for Yacht Measurement and Rating che sanciva il definitivo abbandono della formula "a tonnellata" in favore della distinzione "metrica", al fine di superare l'annoso problema che puntualmente si presentava nelle manifestazioni veliche internazionali in cui ogni nazione seguiva le proprie regole di stazza e di regata.

La nuova norma, promossa da Mr. Heckstall-Smith che, con la sua influenza sulle formule di stazza determinò l'evoluzione dello yacht moderno pur non avendo mai disegnato uno yacht in vita sua, fu approvata dai rappresentanti federali di undici nazioni e consentì di

stilare un nuovo regolamento che trasformò le precedenti formule di stazza inglesi e fu esteso alle classi veliche dei 5, 6,7, 8, 10, 12, 15, 19 e 23 metri e alla "Classe A" per yacht superiori a 23 metri.

Per la prima volta nella storia dello yachting veniva stabilito l'obbligo di classifica delle imbarcazioni da parte di un registro navale, come il Lloyd's Register of Shipping, il Germanische Lloyd o il Bureau Veritas, al fine di ottenere uno sviluppo più ordinato dello yachting internazionale. Entrato in vigore nel 1908, il documento di Londra si rivelò un successo soprattutto per la ricerca nella sperimentazione progettuale e per l'impulso che tutte le nazioni diedero alla cantieristica. Basti pensare che, solo fino al 1912, furono costruiti ben centosettanta 8 metri Stazza Internazionale e che l'IYRU (International Yacht Racing Union, già IYRA, corrispondente all'attuale ISAF), assegnò la disputa della prestigiosa Coppa Italia proprio a questa classe.

La complessa formula di stazza metrica, che teneva conto delle dimensioni principali della barca, dalla lunghezza massima alla superficie velica, fu, nel tempo, modificata e migliorata. L'esperienza acquisita portò allo studio di nuovi e più soddisfacenti parametri che sfociarono nella compilazione della seconda Formula (in vigore dal primo dopoguerra al 1933). Scomparso nel 1920 l'armo aurico e adottata l'alberatura Marconi, fu introdotto il numero velico e fu decretato di lasciare, nella Stazza Internazionale, solo i 6, gli 8 e i 12 metri. In questo periodo, e precisamente tra il 1925 e il 1927, assistiamo anche alla grande innovazione velica del genoa jib, ossia del "grande fiocco", concettualmente intuito e sperimentato per la prima volta proprio su un 8m SI, il Cheta. Francesco Giovannelli, armatore e skipper di Cheta, nella Coppa Italia del 1925 battè l'8m SI francese Aile IV mantenendo inaspettatamente il "fiocco pallone" durante quasi tutto un lato di bolina.

La geniale intuizione di collaudare le possibilità boliniere di questo fiocco, concepito per le sole andature di lasco e di trasformarlo in seguito in "fiocco da bolina" sfruttandone l'aspetto aerodinamico, si dovrà allo skipper-velaio Raimondo Panario che dotò di questa nuova vela moltissime metriche. Benché col rivoluzionario genoa migliorassero indiscutibilmente le prestazioni in mare delle barche, fu necessario attendere il 1934 perché il suo utilizzo divenisse costante.

Il 1934 fu anche l'anno in cui si diede il via alla terza Formula metrica, tutt'oggi in vigore. Gli 8m SI di allora erano le eleganti barche d'elîte, appannaggio per lo più dell'aristocrazia, il cui indiscusso fascino ha da sempre attirato a bordo equipaggi importanti e agguerriti. Esse navigavano con grande stabilità di rotta ed erano capaci di restituire grandi emozioni, le stesse che può provare ancor oggi chi possiede un "8", magari vintage, o chi ha la fortuna di navigarvi. Barche olimpiche dal 1908, la loro realizzazione impegnò progettisti come William Fife, Charles E. Nicholson, Johan Anker, Henry Rasmussen, Pierre Arbaut, Thalma Bertrand e gli italiani Vincenzo V. Baglietto e Attilio e Ugo Costaguta e vide fiorire cantieri specializzati, come il tedesco Abeking & Rasmussen, padre dei temibili "8" denominati Germania, i francesi Bonnin e Chantier de La Hève, costruttori degli 8m SI denominati Aile, appartenuti alla leggendaria skipper Madame Virginie Hériot - che con Aile VI vinse nel 1928 le Olimpiadi - e gli italiani Baglietto, Bava, Beltrami e Ugo Costaguta, padre, quest'ultimo, dell'olimpionica Italia (1936).

Con l'avvento della Seconda guerra mondiale, le imbarcazioni da regata furono costrette a lasciare il passo alle corazzate e furono ricoverate inermi in magazzini, chiudendo un capitolo velico definito dalla storia nautica di grande passione e ardimento. Occorrerà attendere gli anni Cinquanta per rivedere gareggiare questi scafi, per lo più nel golfo di Napoli, in circuiti non più internazionali, ma in competizioni organizzate tra circoli a livello locale.

Troppo costose per essere usate solo per le regate e troppo poco comode in crociera, eccezion fatta per i 12m SI che dal 1958 furono adottati per la Coppa America, gli "8 metri" furono poi, per un lungo periodo, messi da parte. Acquistati da nuovi armatori, spesso più per la loro bellezza che per il significato storico-culturale che essi rappresentavano nella storia dello Yachting, furono non di rado stravolti, modificati nei loro progetti, ricoperti di vetroresina, usati per il diporto o tristemente abbandonati. È solo nei tempi moderni che vediamo rinascere l'interesse per questa classe, assistiamo al loro recupero da parte di armatori appassionati, al loro restauro - ahimè non sempre filologico - e li rivediamo solcare il mare e rappresentare quella verità immutata nei tempi così ben descritta da M.me Virginie Hériot: "Non c'è sport più bello, più entusiasmante, più appassionante dello Sport della Vela.

Le linee snelle, fini, dolcemente ingrossate dello scafo di una imbarcazione da regata sono gioia per gli occhi; la candida leggerezza della vela, la finezza dell'albero slanciato verso il cielo e quella dell'attrezzatura, formano un insieme di bellezza armoniosa e di grazia ineguagliabile. Sotto la spinta del vento questa bellezza assopita si sveglia, si anima, freme e vibra sotto la mano del timoniere, si slancia sull'azzurro flutto soffiando al pari di un vivente corsiero sempre fedele, però, all'appello del timone e sempre ubbidiente [...] l'angoscia emozionante dell'ultimo viraggio di boe, dell'ultimo percorso e l'ebbrezza, l'esaltazione della vittoria, cavallerescamente conseguita, magnifica al supremo grado quando si tratta di un trionfo della bandiera nazionale."